“Quit festival”, Cagliari – Seconda giornata: Peak, Franz Rosati+Leila Bahlouri, Økapi


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13 aprile 2012

La seconda serata di Quit Festival  adotta propensioni differenti rispetto all’esordio di ieri. Come fossero sorelle, ma non gemelle, le costole del ventaglio si succedono senza ripetersi, mostrando un quadro dai mille bagliori, con una continuità forte, fatta di attitudine e gusto divertito.

Ghetto degli Ebrei: aumenta l’afflusso di pubblico, con esso l’ambiente sonoro, che si fa chiacchiericcio.
E’ la spina dorsale di un festival.
Mentre Michele Sarti versa bicchieri di bianco in quantità, si scoprono le diverse visioni artistiche, ognuna con le sue storie, le sue vicissitudini.
I casi che hanno portato a essere al Quit, alla sua seconda giornata.

Schermo al centro e banco alla destra, Peak è un binomio sonoro/visivo di dub torrido e cortometraggi d’antan.
Accostamenti, sperimentazioni che si incontrano a metà strada nel secolo scorso apparentemente slegate tra loro, eppure frutto di un lavoro di sonorizzazione iniziato con la commedia “Entr’acte” del sommo francese René Clair, e che poi è proseguito con i lavori di Walter Ruttmann, Hans Richter, Louis Feuillade.
I cubismi di “Ballet mécanique” di Fernand Léger si incastrano alla perfezione con i ritmi tondi, spessi, di Paolo Picone. Ripercussioni evocative trovano spazio tra giochi fluo, tendine e labbra rossettate di signorine ormai sparite da troppo tempo.
Triangoli, cerchi. S’inseguono.
Dada, futurismo, surrealismo: un campionario assortito delle principali avanguardie europee. Effetti speciali ante litteram. Gli scherzi di Maurits Cornelis Escher.
Associazioni d’idee. Tempi moderni. E’ stare su un lettino da analista, a vedere inscenati gli stralci in lowtempo del proprio inconscio. Ne nasce una sorta di timore sommesso, intimo.
Soprattutto con la movenza ammaliante di “Darksuite” (uscito in 12″ per la Ornaments music) ci  si lascia ghiacciare la mente, tremolante come un cubetto dentro un bicchiere, soffiata in fumo azzurrognolo. Ma le tracce, tutte belle grasse e dai toni roots conservativi, sono tante.
I punti cardine del set traggono le fila anche da un passato batteristico da autodidatta, dai primi campionatori acquistati a metà anni novanta; il progetto Mou, le esperienze con la Soundabbast e la net label A Quiet Bump; la tappa su Sem Label, ed è qui che sfocia l’intrigante voce di Barbara De Dominicis.
Ci si sorprende nella Bristol più scura, ritoccata da Burial, ma sempre sensuale.
Un idioma totale di forme svolazzanti nel buio.
Come vivere in una clessidra, con livore, attendendo l’ultimo climax marziale, fluttuando tra meduse e tappeti.
Sempre presente una risacca marina, in levare.

Il tempo di notare le sberciature del muro retrostante ai video, per capire quale valore aggiunto ci fosse, e l’attenzione si sposta sul banco opposto. A sinistra.
Franz Rosati e Leila Bahlouri si fiancheggiano, complici.
Si abbassano le luci e a prima vista sembra qualcosa di William Blake, ma è immaginazione, la bestiale ragnatela grafica presentata è un moto di forze e scontri contrapposti. Un gioco sulla natura.
Paesaggio a metà tra sistema architettonico notturno e matrice umana di DNA, incisioni su una tavoletta, roteate, sbilanciate, buttate a capofitto nel vuoto, “Pathline #1” è caos ordinato in fisica geometrica, opera in cui la componente biologica prende il sopravvento o si insinua come base in sottofondo.
Calcoli sulla quantità di rottami che arrivano ogni anno da Saturno.
L’ubriachezza su una giostra vissuta da un ipovedente.
Gli scontrini chilometrici della spesa di Eliphas Lévi.
I campionamenti sonori, stravolti dai filtri e dalle distorsioni hanno come fonte suoni ambientali, cicale canadesi (assordanti), vari strumenti acustici, tra cui una sansula (strumento simile alla kalimba, incastonata in un tamburo a membrana) e la voce di Leila. E portano a galla dure giornate di lavoro e notti insonni. Il duo crea processi procedurali, algoritmi, frattali, organismi con MAX/MSP. Poi si divertono a perseguitare tutto, senza pietà, con il controller Korg.
Posizioni, colori, fasi, rotazioni, dinamiche.
Rompere sonagli, micro/macro sismi sonici/emozionali e un finale che al sapore di redenzione celestiale.
Ammasso di rumore, crani intorpiditi da raffiche eoliche.
Pathline #1” è l’unione tra un’infinità di punti, tutti incazzati l’uno con l’altro.

Giunti al termine i due blocchi al Ghetto, Quit si sposta al Muzak, per il djset di Økapi.
Stugiati nel locale tutto bianco, ci si stringe di fronte ai cubi del veterano della stramberia romana.
Psycho infantil techno, resident in Paris, bulgar dub editt, aperitif url, helter skelter dope, casaling mash-upgga, dutch tamagnocchi, smuoviculo becera, moustaches step, molta polka e trombettine. Ma sono etichette qualsiasi.
Il naso nell’orecchio è raccolto in un hard disk che fa i capricci, e intanto tutti ondeggiano.
Ingollando chili di pasticche del Re Sole.
E se ne esce più o meno così.

Testo di Alessandro Pilia

Foto di Paola Corrias

Info Peak:

http://www.myspace.com/peak1mt
http://www.soundabbast.it
http://semlabel.com
http://www.aquietbump.com

Info Franz Rosati/Leila Bahlouri:

http://www.franzrosati.com
http://www.nephogram.net

Info Økapi:

http://www.okapi.it
http://www.myspace.com/aukapi
http://soundcloud.com/okapi23

3 pensieri su ““Quit festival”, Cagliari – Seconda giornata: Peak, Franz Rosati+Leila Bahlouri, Økapi

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