Live report: Mattia Coletti – Muzak, Cagliari


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26 aprile 2012

Da Ancona, Mattia Coletti si presenta al Muzak con la sua Telecaster nera, una loop machine, un fuzz americano, un pedale d’espressione, dieci dita attivissime nel sottobosco underground e un ventaglio di lanscape lunari.
In effetti però, come ammette lui stesso, sono i suoni puliti ad affascinarlo. I giocattoli, utili se utilizzati con parsimonia, sono semplicemente delle finestre, mezzi espressimi atti a ottenere un certo risultato sonoro. Da buon fonico professionista,  Mattia dosa le parti, mesce le bordature, tampona gli espluvi. Il suo lavoro è contenuto senza essere formale.
Sono pezzi nati esattamente come sono stati registrati, nel suo studio casalingo, ottobre scorso, in un solo mese.

Già con l’iniziale “L’angolo rosso della civetta“, tratta dal rabelaisiano “Pantagruele“, del 2009, si assiste a un modus operandi del tutto peculiare: sovrapposizioni, stratificazioni, overdub e microvariazioni, tutte al servizio di dinamiche in divenire, ben salde sull’immaginario sonoro, mantrico.
Si tratta di volumi, tasti, particolari accordi in sfumature.
Tutto ha una funzione, come fosse il vento tra i salici. D’essenzialità, ricercatezza.

Viene fuori un animo chino su se stesso, cugino del Johnny Greenwood più solitario. Riflessivo, ma immensamente aperto su orizzonti southern blues. Foce a delta continuo, Coletti si divide tra il suo ultimo lavoro “The land” e il periodo di “Zeno“, cinque anni or sono, per ritagliarsi plettrate genuine su tutta la lunghezza dello strumento, sfruttandolo pienamente, e articolando radure bucoliche.
Una volta raggionto un piano espressivo, dialoga col se stesso di qualche momento prima, moltiplicandosi in esattamente otto secondi e mezzo di registrazione.

Stramberie antiche, magari trovate in giro per il giappone, come il piccolo smokey amp verde, tutto innastrato, tirato fuori e laciato a breve distanza per la serale “The land“. Un nuovo mezzo, un cono, un’altra finestra dall’overdrive naturale.
Dando piccoli colpetti di palmo sul corpo nero della chitarra, offrendo distrazioni lenitive, fughe rurali.

L’immagine di una sedia a dondolo, tanto legno, la consuetudine di voler imparare approcci sempre nuovi, inediti o rinnovati.
Quasi fosse un mestiere.
C’è un sentore di frontiera e tabacco, spazi aperti, praterie, vallate, grandi conquiste e dignità. Una parola persistente nelle pause e nei crescendo degli otto pezzi proposti.

Sarà la settima od ottava volta che Mattia visita la Sardegna.
Ascoltare il racconto delle sue peripezie in giro per l’isola è un piacere. Partito per la Barbagia si è ritrovato a Orosei, in viaggio sulla vecchia Statale 125 per far ritorno in città.
E nel saluto di “East“, c’è proprio il richiamo fluviale tra John Frusciante e Bill Callahan, un cantato nitido, una forma canzone.
Un rimando.
Ci sono esattamente quelle curve, salite e discese, un nastro di Charlie Patton, il contatto rotatorio dei pneumatici sull’asfalto, i microfoni valvolari, lo stesso viaggio, da qualche parte, sulla costa orientale.

Scaletta:

L’angolo rosso della civetta
Before the land
Matane
The land
Greta
Qualcosa dei Penguin Café Orchestra
East

Testo e foto di Alessandro Pilia

Info Mattia Coletti:

http://www.myspace.com/zenomattia
http://www.bloodysoundfucktory.com/mattia-coletti
http://vimeo.com/33660008

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