20 aprile 2012
Camminando per Cagliari, tipo via Baccaredda, vedi un manifesto nero e pensi: “Portare Kaos a Cagliari è un colpaccio mostruoso!“, per cui gambe in spalla e dritti allo Zero.
Fuori sono le undici e la gente sta appoggiata in attesa che si aprano i cancelli.
C’è chi pensa, chi parla, e chi aspetta e basta.
Una vibrazione sottocutanea infesta l’aria.
Il concerto messo su da Be True Movement e Stobau Concerti non è roba da poco. E se Kaos One è il piatto forte, l’antipasto è di tutto rispetto.
Real DaBomb, Ceto Supreme e AdeRockOn aprono le cerimonie con Icon Curties ai piatti. Metrica alla sarda, street knowledge e timbri medio alti per un flow lanciato. Mefis DePedis è una bombetta a ciel sereno. Le sue pornorulez acchiappano, in un mitragliata concettuale a metà tra il primo Caparezza e Busta Rhymes.
Stile.
Tutto intorno un’arena strepitante giudica senza timore: pollice in alto a oltranza.
Irrompe Creso ed è anni ottanta. E’ tutto un alternarsi fra merda veloce e toccate andanti, di lusso. Similitudini a pompa ed etica hardcore, questa cricchetta c’ha da dire che è un piacere.
I padroni di casa hanno dato il loro.
Al Kubrick hanno fatto un contest hip hop, l’ha vinto Sheik, che si esibisce assieme a CFP e Tes.
E’ il collettivo Underground Solution. Gente imbestialita, feroce.
Pezzoni old school ed echi Nosaj Thing, si arriva ai rapporti sulle vergogne italiane di “Hish hash“. Gole affilate, aspre, comunicative. Giapponeserie. Piccoli geni dell’underground cagliaritano che si lanciano in stage diving per poi tornare direttamente dentro e vocalizzare un ritornello alla perfezione.
Da ricercare, riascoltare. E beccarsi una serata completamente loro. Perché improvvisare sul palco è roba che scotta, e si premia e basta.
Ma ora un attimo di silenzio. Sta per arrivare.
Sulla presentazione, che lo definisce prima un uomo, poi un artista, si sovrappone Marco Fiorito. Breve pausa, si tira i capelli come un samurai. Attento a quando, durante il set chilometrico, potrebbero sfuggirgli per annebbiargli la vista.
Se quello si chiama intro è qualcosa tra “Paura“, “La zona morta” e la summa di una carriera.
Kaos non si innalza a ciò che in realtà rappresenta. Rimane inchinato e fa il suo sporco lavoro. Guarda la folla di sottecchi, truce, cercando di dominarla a occhi nudi: grandi e piccini si accalcano senza tregua, parte stessa del live con voci forti, mani a tempo e una risacca di teste in sincronia mistica.
E Don Kaos sembra non ci veda.
Sensorialmente in osmosi dalla prima all’ultima fila, ci ride su, gioca con la sua stessa carriera, osannata ripetutamente, dai Radical Stuff a quelle pietre miliari dei suoi album solisti, dai Melma & Merda sino alla collaborazione con Gopher di Neo Ex, “L’anello mancante“, per unire tutti i puntini delle varie collaborazioni sparse per la scena ottenendo la sagoma barbuta e tatuata del veterano hardcore.
Trasandato, abruttito, combattente.
Sotto le metriche manipola DJ Craim.
Si impastano beat con graffi, inserti funk e piacerie elettroniche, spesso sconvolgendo il conosciuto, spesso dando onore all’originale suono su disco. Soddisfazione pura per chi ci mette l’orecchio.
Saccheggio di “Karma“, le sue rabbie malridotte: Kaos è un cane da rapina, arringa potenziali nemici. I bassi e le parabole iconiche dei due pezzi con i Colle Der Fomento. E lo sciacallo si inchina al pubblico in visibilio. Ruba energia per restituirla rinnovata, respirata e arrichita dall’oro di termini torturate/masticate/sputati. Momento topico con le movenze r’n’b di “Insomnia” e l’incedere stoppato di “Fine“.
Profondità oscura.
“Post scripta“, l’ultimo album (data 11/11/11) arriva con “Dottor K“: battiti glitch, lento incedere, la forma cambia ma la passione di intarsi vocali rimane la stessa. Un braccio, una mano che scavando la terra raggiunge la superficie, e raggiunta l’aria tocca pietra, contorcendosi, disperandosi del proprio destino. La notte tutto intorno, il suo silenzio frastornante. Terapeutico.
“Prison break” è sirene, umido di un sei livelli di parete livellata malamente, tragedie tutte mentali, limiti intrinsechi tutti su sostegno pianistico.
Tra “Detraxi” e “Parole al vento“, la pausa di Craim “che si sente stanco“, stop&go in wah e synth grossi (produzione Fid Mella).
Cursori e stampi ritmici che fremono, una voce dall’oltretomba: che importanza ha esser quarantenni, se si è sempre i migliori? E allora mani levate per gli antichi gioielli di “Cose preziose“, “Tofutonik 3000“, “L’anno del drago“, tutto dal lontano “L’attesa“.
Il nuovo torna con “Dans macabre“. Lentissima, spessa, illuminata dalle luci degli accendini. E i gesti di Kaos sono eloquenti/teatrali. Lui, uomo contro, sangue, un rapporto con la tecnologia (televisione o nuovi media, gli aggeggi che li supportano) che ne sfrutta solo determinati lati (nuovi o vecchi che siano), il citazionismo e l’incazzo politico, le crisi mistiche/esistenziali in squarci strettamente cuciti al suolo, punti di sutura sulla collocazione nella scena. Kaos, mosca bianca sul marciume informe, lavoratore ricoperto di onori, professionista in materia, resistente a cui la voce non manca mai, sempre potente, accesa, roboante.
E le frecciate all’interno dell’ambiente se le può permettere, in una continua beef che dura secoli. E’ quasi una ragione di vita, un motivo per cui andare avanti, senza essere formale stile, ma puro divertissement, con una logica. Mettere in scena la vacuità di una nuda verità, al sapore di curaro.
Per questo non puoi fare a meno di provare rispetto e tentare a percepire la sete che dovrebbe avere dopo una ventina di pezzi. Spartirla con lui.
Nuova musica, forse saprà di plastica, lo scenario che sta cambiando, ma la fatica on stage rimane sempre la stessa. E in pochi riescono a gestirla con questa dimestichezza, dominando il repertorio, conoscendo perfettamente cosa si sta facendo e come lo si realizza. Kaos rimane un simbolo per il suo percorso esemplare, ma anche per l’estraneità a schemi triti, compassati e superficiali.
In chiusura “u pezz’ commerciale“, “Le 2 metà“, e “Quello che sei“, con il suo sguardo schietto sulla vita, gli “skills sui tecnici” di Craim, mentre il nostro scatta foto a tutti.
Le ultima, pestatissima dubstep, rimane irriconoscibile.
Un mistero.
Mentre quest’oceano di gente vibra sul limite del pericolo, c’è da perdersi in un flusso di semantica smorzata.
E si arriva allo stacco con Barry Brown in una sorta di apnea da estasi collettiva.
In caduta libera.
Kaos aggredito con un’invasione di campo sregolata, alla ricerca di un segno, una traccia, un lascito, e ci si sente bene. In pace con i propri sensi, rigenerati.
Un minuto prima che parta il fade in della pista da ballo.
Scaletta:
“Intro”+ “La zona morta”
“Uno”
“Il sesto senso”
“Stasi”
“Firewire”
“La fenice“/”Pandemia”
“Karma”
“Dottor K”
“Prison break”
“Blah blah”
“Detraxi”
“Parole al vento”
“Insomnia”
“Dans macabre”
“P.S.”
“Cose preziose”
“Tofutronik 3000”
“L’anno del drago”
“Fine”
“Le 2 metà”
“Quello che sei”
“Q.V.P.”
“…”
Testo di Alessandro Pilia
Foto di Paola Corrias
Info Kaos One:
http://www.kaosone.com
http://www.myspace.com/onekaos
Info Be True Movement:
http://run-mpc.com
http://www.facebook.com/betruemovement
Info Underground Solution:
http://www.facebook.com/UndergroundSolutionSquad
http://www.myspace.com/undergroundsolutionmusic
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