30 aprile 2012
Come l’anno scorso, l’Unione Sarda organizza un maxiconcertone in Piazza dei Centomila.
Titolo chilometrico: Unione Sarda Special Contest Live Show.
Questa volta la formula si rinnova con una selezione di gruppi emergenti, frutto del contest che negli ultimi mesi ha scotennato la pelle a più di duecento gruppi, sfoltendo sino alla scelta di tre formazioni da presentare alla folla accorsa di fronte alle scalinate di Bonaria.
In ordine di apparizione: D-Storta, Lux ed The Erotik Monkey.
D-Storta è pop solare, adatto alla primavera e al rotolarsi in qualche prato, preferibilmente con un animale domestico o un cane. Miscela di cinque strumenti senza troppe pretese o spigoli, suonerebbe bene persino in una delle tante, fastidiose, radioline che con la bella stagione spuntano dalla sabbia e si stagliano con volumi inusitati sopra le urla dei venditori di cocco in spiaggia. “Cerchi“, il loro pezzo di punta, sembra esser fatto per ficcarsi nelle teste di quindicenni in bmx, capelli al vento e nemmeno un filo di barba, grazie all’inciso semplice ed efficace.
Lux è un’entità più estranea, non per nulla sassarese, d’indole tendente all’arty.
Visti e ascoltati altrove, incarnatisi in contesti e forme differenti.
Si palesano in trio con “Proteggimi“, il pezzo di punta che contiene alcuni degli aspetti più interessanti in repertorio. Il massimo tra il finire di due decenni fa, toni decadenti, ma poco delusi, immuni alle ventate d’oltretomba. Acusticherie che colpiscono, soprattutto se arricchite da tratti combat rock alla Violent Femmes o circoncentrici sassi su laghi tra Pearl Jam, Soundgarden e Alice In Chains (le loro “Stimoli” e “Tentazioni” meritano, consigliatissime).
The Erotik Monkey sono una peste insolente, assidua negli acquitrini poco lontani dalla città e fresca dell’apporto del chitarrista Corrado Cardia, che va ad affiancare Andrea Cannucci, Nadir Serra e Marco Cardia, che da trio nirvaniano chitarra/basso/batteria si acquistano il Pat Smear della situazione, passaggio fondamentale quanto logico.
Il brano in concorso, “Colada“, è abbastanza croccante, dinamico. Colpisce in particolar modo un’inflessione vocale che dal vivo non si risparmia.
E se non è l’originalità a farla da padrone, certamente solleva la leva dell’incisività, del chitarrismo saturo, dei ritmi riverberati, ramificati e longilinei. Al termine Cannucci sfonda la chitarra sul palco, poi ringrazia suo padre (e datore di lavoro), incita i tanti gruppi emergenti a farsi vivi anche al di fuori delle mura isolane.
Di seguito i nomoni di casa nostra.
Iniziano i Sikitikis, cagliarinità tout court, di ritorno dal tour continentale, giusto in tempo per sant’Efisio. “Le belle cose“, modulato cantando di Diablo, sfila con i suoi synth in odore dell’ultimo Battisti e tutto il conseguente novantiano, schierando in campo il possente basso gracchiante di Jimi.
Un tempo esistevano i Fila Brazillia e i Thievery Corpotation, ma che fine hanno fatto?
“Tsunami” e “La mia piccola rivoluzione“: un pensiero sul lascito del periodo in cui gli U2 si trasformarono, deviando percorso. Il nuovo singolo è “Col cuore in gola“. Dimostrazioni sull’influenza di “Seven nation army” sull’immaginario ’00, il falsetto di Bono, le enumerazioni di Rino Gaetano.
“Noi siamo i Sikitikis e veniamo da Cagliari“: citazionisti da salto in alto.
Con i Tamurita sale il connotato primomaggesco della nottata, in un tripudio di pannocchioni lanciati a destra e a manca, spinte fuori portata, e ispano-patchanka con la gola raschiata.
Ripescaggio completo degli stilemi di un’epoca che (sottointendendo) non è mai finita. Ottima nota di merito per la citazione/stravolgimento del pezzone “Out of time man“, che nella sua versione originale portava il nome di Mano Negra e il cognome di “King of the bongo”, 1991.
L’impennata caraibica prende possesso quando, a poco alla volta, entrano in scena i Train To Roots. Ma non è un percorso leggero. Nell’intro, il gruppo, sfoltito dei tre vocalist, inscena un reggae teatrale (quasi spaghetti western) arroccato su incastroni di strumenti a corda, lanciato su sapienti tastieracce eighties. Notevole. Quando Bujumannu, Paolinho e Rootsman I si fanno cavo e microfono, e i canoni riprendono forma, il pubblico sembra gradire maggiormente, coccolato dai loro classici.
Eppure è inevitabile pensare al presente, passato e futuro di un genere musicale (discorso accennato anche da Alioscia) che vive di rinnovamento. Da qui, zaccare il wobble bass in qualche arrangiamento è tutto un piacere.
Malika Ayane costituisce una parentesi a parte.
E’ la sostituta del vagheggiato Pete Doherty (impedito da una non meglio precisata dose di riabilitazione), signora della serata presentata da Matteo Bruni e Francesca Figus con un curriculum a base di professionalità da La Scala di Milano, matrimonio a Las Vegas e bicchierazzi di vino semirovesciati.
I turnisti la attorniano e sorreggono una voce padrona di se stessa, salvo scempiarsi con le finte risate, i siparietti da night club e un astio (ricambiato) per il pubblico, che le regala qualsiasi tipo di insulto e gestaccio.
Momenti di imbarazzo.
Lei sembra non pensarci, intenta a incarnare la Beth Gibbons che ci possiamo permettere, con tatuaggione sulla schiena e parrucca biondo canarino, ma il set non è male: rendono in particolar modo le cover di “Heart of glass” di Blondie, “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari e “Rock n’ roll suicide” di David Bowie. L’alterco con i nemici intoccabili finisce con “Smile” di Charlie Chaplin.
Coperta di fischi.
Malika, con savoir faire, gira le spalle, si inchina e mostra le terga dandosi prima delle simpatiche pacche e poi sollevandosi la gonna.
Certi siparietti fanno aggrottare la fronte per quanto sono grotteschi.
Stride il confronto, subito dopo, con il totale cambio d’assetto sul palco.
Appaiono i Peavey di Jon Spencer e Judah Bauer, il kit smargiasso con la cassa innastrata di Russell Simins: è la Blues Explosion. Armonica a bocca, sciabordate in sfruttamento totale di Telecaster e una sei corde da 30 dollari trovata in un mercatino delle pulci, in qualche città periferica. Riff taglienti, no-disco, duecentomila mossettine tipiche dei primordi rock and roll e tanto, tanto, tanto Charlie Feathers.
Con le parole di Sergio Pilia: “Quando mai si è visto a Cagliari uno coi pantaloni in pelle che si guadagna il rispetto di miliubili di persone sotto la chiesa di Bonaria il giorno di sant’Efisio? Porca vacca Jon, sì, era il primo maggio da qualche minuto e il pogo era violento, questo nuovo ballo che va tra i giovani non adatto per le ragazze con le gambe lunghe. Focolai senza sosta tanto da non fare in tempo per nulla e rimanere ipnotizzati con birra in mano e bocca aperta che non si asciuga e se si è asciugata non posso bere che mi distraggo. Avete mai visto un’onda che spacca un muro? Io si ed era molto simile a quello che c’era su quel maledetto palco, conosco i pezzi ma era davvero complicato capire, quindi ho preferito ascoltare con quello spirito punk dopo aver visto la macedonia frenetica facendo finta che fossero sessanta minuti iniziati con “Sweet n sour”, tre minuti di lucidità, “She said” verso i quaranta minuti, e filando un concept di cose che non si vedono spesso, non c’era tempo per capire cosa stessero suonando di preciso, ci dovevi essere.”
E intanto mr. Spencer se ne fregava degli schianti.
Tendendo i pantaloni di pelle, si è lamentato diverse volte del suo monitor, ha ricordato tutti i debiti contratti con Beck e Ariel Pink e ha regalato picchi di guazzabuglio boogie funk acido/selvaggio a tutti quanti, fan di International Noise Conspiracy e The Hives compresi.
I fermenti della Blues Explosion abbandonano lo stage in una cacofonia a mezz’aria, staccano il jack e lo gettano, mentre buonaparte dei timpani del pubblico si ritrovano con la cordiera trapanata e gli organizzatori del live battono freneticamente il piede per terra, infogo da fan o insofferenza da orario, non è dato saperlo.
A stemperare i toni ci pensano i Casino Royale, perfettamente in linea col discorso intrapreso dai Train To Roots, ma con un retroterra che spazia in quei capolavori che furono “Dainamaita“, “Sempre più vicini“, “CRX” e “Reale“.
Lanciatissime “Royale’ sound“, sul finale i riferimenti a Nico Bortis, le divagazioni battenti di “Sempre più vicini“, “Anno zero” e “Ogni singolo giorno” sino ad arrivare gli electro-inflessioni di “Il fiato per raggiungerti” e “Io e la mia ombra“, tratte dall’ultimo disco dell’anno scorso.
Pardo e soci hanno certamente risentito degli eccessi di Jon Spencer sull’economia della scaletta, e non se lo meritavano. In qualche modo sono stati il fluido sonoro, la planata necessaria e curativa per l’enorme folla accorsa nella piazza.
La quiete dopo la tempesta.
E’ primo mattino.
Il palco si svuota.
Qualcuno china la testa, sconfitto dall’alcool. Altri discutono, si insultano, ridono.
C’è da dividersi sui lasciti di una manifestazione troppo grossa per non portarsi strascichi critici e lodi sperticate.
La piazza giace semiabitata, camposanto di una miriade di rifiuti.
Maggio è appena iniziato e qualcuno si sta svegliando per allestire la festa più amata dai cagliaritani.
Testo di Alessandro Pilia e Sergio Pilia
Foto di Paola Corrias
Info D-Storta:
http://www.myspace.com/DSTORTA
http://www.facebook.com/DstortaIndie
Info Lux:
http://www.facebook.com/pages/LUX/180092195338804
http://www.luxinfo.it
Info The Erotik Monkey:
http://www.facebook.com/pages/the-erotik-monkey/50928096495
http://www.myspace.com/theerotikmonkey
Info Sikitikis:
http://www.sikitikis.com
http://www.myspace.com/sikitikis
Info Tamurita:
http://www.tamurita.it
http://www.myspace.com/tamurita
Info Train To Roots:
http://www.traintoroots.it
http://www.myspace.com/traintoroots
Info Malika Ayane:
http://www.malikaayane.com
http://www.myspace.com/malikaayane
Info The Jon Spencer Blues Explosion:
http://www.thejonspencerbluesexplosion.com
http://www.myspace.com/jsbluesexplosion
Info Casino Royale:
http://www.casinoroyale.it
http://www.myspace.com/casinoroyale1