25 novembre 2011
Venerdì sera ero un po’ scazzato. C’era anche brutto tempo.
Forse ero scazzato per via del brutto tempo.
Allora sono andato all’Old Square a vedere la presentazione del primo EP dei Worn Out, “A present for you“, nell’ambito di Idioteque.
Ho deciso di non farmi la barba. Non mi sarei neanche voluto vestire, mentre pensavo alla canzone dei Radiohead.
Probabilmente hanno voluto fare una scaramuccia agli U2, con quel titolo.
Gran bella cosa lo star system di fine anni novanta.
Thom Yorke era ancora un perdente (il pifferaio magico di tutti noi topi grigi) e aveva anche l’occhio bao.
Come perdersi per un minuto.
Infine mi sono deciso a mettere gli scarponi, e vecchi pantaloni marroni, un maglione forato da X solo sa cosa, una cuffia lisa, un cappotto. Tutto di colori indefiniti, tanto era buio.
Insomma, non ero proprio sul chi vive, spero si capisca. Dormivo. Forse per questo sono andato a vedere i Worn Out. Musica atmosferica per cuori spaccati. Tonalità ombreggiate tendenti al disilluso pallore. Un melmoso vogare nella distorsione umorale. Il timido mereggiare del disastro elettrico. Una di quelle frasi li, una a caso. Roberto Maulu sarebbe perfetto per questa occasione.
Però non avevo un euro, così sono andato lì, nel corso. Entro giusto in tempo, mi piazzo di fianco al mixer, i Worn Out sono già strumenti in mano. All’improvviso qualcosa non mi torna. L’impatto del suono mi fa dimenticare cosa sia.
Dopo l’intro, “Die away“. Mi colpisce la granitica batteria, una Tama pestata pesante, ma con guizzi rapidi; il Rick 4003 nero, sull’onda della scena bergamasca che con i primi Verdena, i Gea e gli Hogwash si è stretta a doppio filo con Seattle, ovviamente tutto scritto con un plettro tra le labbra; la Fender Telecaster, che tra riverberi, fuzz, muff, MXR 90, un bel Memory Man e un’altra schifezza che non ho capito (vedi foto ad hoc) riesce a saturare tutti gli spazi tra un pelo dell’orecchio e l’altro; la Gibson SG, più ritmica e barbuta, ci aggiunge anche qualche urlo (fuorimicrofono ma si sente lo stesso) e una partecipazione che spesso a livello di spettacolo, catalizza l’attenzione, sempre in rotta di collisione con l’attitudine dinamica delle bacchette dietro di lui.
Tanti stop&go, tanta ritmica impastata/Tool/macchinosa/grattata, melodie strumentali che sembrano i tornanti insidiosi della vecchia Jerzu-Ulassai, anche i baffi con la canottiera da Cinico TV. La voce? Ammalianti cantilene, insicure o giunoniche, quasi sempre epiche. The Smashing Pumpkins. Nominare Courtney Love è un po’ troppo ovvio? E allora The XX, ma l’embrione di dieci anni prima.
Cosa sono i Worn Out: quel passaggio tra grunge e numetal (serioso, senza quel pirla di Fred Durst) che qualcuno chiamava crossover. In fondo serviva solo a ritirare dalla tavola tutte le ciambelle saporite ma senza buco, indefinibili, e che ora, ricordandocele, ci sembrano le più buone. Psychedelia crunchosa. Bridge limpidi ipnotici. Ballatone da lago grigio in stand by. Pagine di strutture chitarristiche e impianti ritmici a incastri multipli. In qualche caso emo, ma senza tutto quello che è successo dopo che si sono formati i Mars Volta.
Addirittura bello l’errore sull’ultima canzone, “You“, che mi ha ricordato di quando Layne Staley ha sbagliato “Sludge factory” all’unplugged degli Alice In Chains. E poi l’ha fatta più convinto di prima e di sempre.
Con gli occhi che aveva, scoperti, vuoti.
Non è più tornato.
Quell’album lo ascolto ancora.
“Scusate, abbiamo avuto un problema“, dice Martina.
A quel punto capisco che loro non sono tristi.
Si guardano, complici.
Sorridono.
E’ stato un concerto intenso, movimentato, rumoroso.
Rintocca “Loud pipes” dei Ratatat.
E giunge il ricordo di cosa non quadrasse nel cerchio: prima ero triste, ora no.
Forse ho la nostalgia.
Esco via, torno nel dimenticatoio facendo finta che questa città piena di Terry Richardson smetta di esistere.
Testo di Alessandro Pilia
Foto di Paola Corrias
Info Worn Out:
http://www.myspace.com/wornout09
http://twitter.com/#!/wornoutband
http://wornoutband.tumblr.com/