3 maggio 2012
Quadruplo spettacolo alla Cueva: Grandmother Safari, Andiperla, Goatsoundz e Super Oil 69 condividono lo stesso spazio con accese dinamiche di suono, luci spedite, beveraggi e il classico chiacchiericcio, spesso facendosi urlo, strepitio, onda acida e volo pindarico.
Apre il safari della nonna, e si contavano mesi d’assenza sulle dita dei piedi.
I quattro, rimasti orfani del trombettista Alessandro Colarossi (a proposito: chi ha fiato e interesse si faccia sentire, stanno cercando un nuovo componente) sono fuggiti l’estate scorsa in una magione vicino a Piscinas.
Adagiati sulle amache, cullati da venti lontani, si sono reinventati.
Nei quattro pezzi proposti, completamente inediti, c’è tutto il carattere a cui ci hanno abituati, e anche uno spigolo più dritto, quasi calcolato, matematico. La logica porta ad avanzamenti nervosi, attenti, profondamente dinamici e sfaccettati, soprattutto per quanto riguarda la forza del telecasterista Omar Cappai, uno scempio di toni medi e alti equivalente a “Spideland“, ma aggiornato di vent’anni.
Fanno da contrappeso, la possente ritmica di Daniele Arca, con accensione sempre attenta al suono, decisa sui veloci tocchi su tom e rullante, concatenati come fosse apporto melodico, e le cinque grosse corde “chitarristiche”, Federico Mainardi. Plettrato/arzigogolato, il jack arancione fosforescente e la scritta “LUCE” sulla mascherina gratta contro i pick up percussivi (“Forester“) e il viso disteso, chinato sul proprio strumento come a proteggerlo, sfiora l’amorevolezza a dargli la forma giusta.
Offrirlo a gocce mentre Mario Mereu, di spalle su tutti, specula picchiando i tasti a disposizione, definendo l’edificio come un restauratore ammonirebbe i suoi collaboratori.
Persino girandosi, all’occorrenza.
Funziona così: frontiere matematiche e spy story dal finale sorprendente, cadenze fisse e urli, dinosauri in una landa perduta.
Ne viene fuori una farfalla, o qualche altro insetto, ma prendendosi il suo tempo, passando dallo stadio larvale e prima ancora bloccandosi in magnifica pupa.
Come non sorprendersi di fronte alla trama marziane di “Rabbit“, strana bestia che si rotola, svuotandosi in un climax e conquistando nella reprise, o nella spazialità esplorativa di “A life show“, deserto rarefatto, costellato di ninnoli, si schiaccia un pulsante, via, proiettati direttamente in un passato futuristico.
Se il finale dei Grandmother era decollato in territori mogwaiani, gli Andiperla presentano il loro set con il pezzo omonimo. Presenti chitarre in loop, effetti, macchinari, bassi profondi e pad elettrici: è il 2007 degli Yeasayer, etnosynth, digitalizzazione di un grande sfondo lacustre. Potrebbero fare anche quaranta minuti a descrivere paesaggi, ma dura poco.
Andiperla è infatti un’ambientazione metafisica all’interno di umori sociopatici, compressi, monocromi. Sommersi di rumore, Matteo Piras, jaguarista, addetto agli effetti, e Andrea Lai, seduto di fronte a un leggio, clarinetto sulle labbra, mani dirette ai sintetizzatori, incarnano l’aspetto melodico, poco definito, il mostro che prende alle spalle, lo slowcore che solo i Codeine, l’ansietà di aver dimenticato le chiavi a casa, o il fornello acceso.
In preda a scampoli di vicissitudini quotidiane, ideale colonna sonora di un litigio amante/amante, marito/moglie (ma giovani) fratello/sorella.
Per poi essere utili a riappacificarsi, capire, risolvere.
Redimersi.
Ci si ritrova a preoccuparsi con una drammaticità tutta mediterranea, sentimento che ricorda il “ridere nel pianto” di Giovanni Lindo Ferretti.
E’ il sospiro di Giaime Loi, utile consiglio, suggerimento, grillo parlante coscienzioso. Nonostante qualche problema tecnico, spreme versi smozzicati, segreti da interpretare mentre intelaia dB avvolgenti, fondamentale tramite sul deciso bastione scandito da Alessio Putzolu.
Quanti anni erano che non si sentiva una batteria così liquida?
Facciamo da quando i Pearl Jam hanno deciso di scegliersi il produttore da soli?
Tanto chorus a ventaglio, indagini diaboliche, la serata triste di un e-bow, l’onnipresente maestoso incedere, i riff che non si schiodano dai ricordi. “Kobayashi“, “Breccia” e “Troppo presto” levano la polvere sulle immagini studiatissime dei primi due film di Tarsem Singh, “The cell” e “The fall“.
Oniriche, accecate di fumi soffocanti.
“Asinara” è più la condizione senza fuga di un manipolo di militari su un’isola deserta, l’altrove del Salvatores di “Mediterraneo“, con l’intruduzione cinematica, i fiati ombre sui ginepri marittimi, una giornata che non sembra passare mai. Lamento di centinaio paesano che fa la stessa vita da millenni.
Molto, molto triste.
Ed è dal tragico che nasce la fascinazione: gli Andiperla regalano una piccola collezione di viaggi, sulla scia di formazioni ormai andate, come Bark Psychosis e Shipping News (ma anche Giardini Di Mirò) partite chissà dove.
Portano lo spettatore in un oblio spezzato solo da un fuoco d’artificio.
Ops, si è staccato un jack.
Il concerto è finito.
Il nocciolo della questione sta in due band che reggono il confronto con pezzi dalle lunghe distanze. Musicisti che non si fanno travolgere dalla foga dell’inserire tutto in due parentesi, ma calibrano attentamente, tengono in serbo il tiro, sorprendono al punto giusto, fanno confluire diversi discorsi, rimanendo fruibili.
Lavorano, producono nella stessa saletta, vicendevolmente spettatori l’uno dell’altro, a godersi lo spettacolo spaparanzati su una poltrona.
E’ fondamentale la questione della vocalità, dove per ugola intendiamo flebili accenni, talvolta nemmeno tecnicamente stabili, di melodie usate per lo più in funzione dell’arrangiamento. Sparisce la forma canzone, si fa viva la tensione di un’esprimersi prevalentemente strumentale, lasciando la semantica verbale e possibilmente valorizzando il linguaggio del corpo, sino al (quasi) contatto fisico del concerto.
Sono palpabili le espressioni sofferte di Giaime Loi, sono vicine le mosse repentine di Omar Cappai, pur essendo tremendamente vere.
E dove il linguaggio pare sottointeso, sommesso, timido, il messaggio si fa un blocco che è impossibile non notare.
Ora ci sono i Motorhead con quel vecchio rudere di “Aces of spades“, ora già troppo è stato scritto per potersi soffermare su Goatsoundz e Super Oil 69.
Sarebbe come capovolgere un acquario per tirar via un pesce rosso, per cui, alla prossima puntata.
Scaletta Grandmother Safari:
“Bored by my ego”
“Rabbit”
“Forester”
“A life show”
Scaletta Andiperla:
“Andiperla”
“Kobayashi”
“Breccia”
“Troppo presto”
“Asinara”
“Due corpi”
Testo di Alessandro Pilia
Foto di Paola Corrias
Info Grandmother Safari:
http://www.facebook.com/pages/Grandmother-Safari/351910303005
http://www.myspace.com/grandmothersafari
Info Andiperla:
http://www.facebook.com/Andiperla
L’articolo “suona bene” e per questo ti ringrazio e ti ringrazia anche la nostra musica. La definizione che fai della “mia batteria” – liquida – mi evoca un sacco di immagini nella testa. E questo mi piace .
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Alessio Putzolu è sicuramente uno dei batteristi più originali della scena cagliaritana di Cagliari, complimenti per la recensione!!!
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…gentilissimo Karter ! Suonare, e cercare di farlo bene è una religione per me. Così come lo è sicuramente il canto per te.
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