4 aprile 2012
San Sperate è un paese di freak.
Sembra di essere in “II” dei Meat Puppets.
Una lussureggiante giungla, un’accozzaglia di mura dipinte, pesche giganti (blu, gialle, rosse, bianche), uno spropositato numero di cortili campidanesi.
E poi, in mezzo a un lungo rettilineo, direzione Monastir, un pittore.
Occhiali a goccia che diventano scuri col sole, una mauglia di ricci capelli, direttamente attaccati alla barba folta, sempre stuzzicata da dita curiose, insonni. Passo svelto, poche parole, ma dritte come fossero frecce al cuore: “Parcheggiati lì, dietro quella grigia!”
“O Gia’, ma non è che è senso unico?”
“Eh, mi sa di si, gazz…vabbe’ mettila lo stesso.”
Giacomo Zucca è il professore d’arte che tutti abbiamo avuto alle medie. Quello che non gliene frega nulla se non hai fatto il parallelepipedo di carta, quello che ti da la schicchera sull’orecchio.
Quello che si fa il trinciato mentre interroga il secchione.
Perché lui, lui interroga solo il secchione.
A mio tempo, conobbi Giacomo a Sassari, aveva i dread e suonava con mio fratello nei Fuori Dal Frigo. Entrambi dell’Accademia, facevano parte di una criccona di artisti in stile Rive Gauche.
Edoardo Tedde, il presidente Antonio Sini, Teresa Pintus, Andrea Casciu, Alessandro Mascia, Francesca Seu, Paolo Oggiano, Carlo Spiga, Giusy Sanna, Andrea D’Ascanio sono solo alcuni dei mostri che mi è capitato di incontrare all’Aggabachela.
Un periodo per cui un romanzo solo non sarebbe bastato.
Poi Giacomo consegnò la tesi e se la fece rubare (era un pezzo unico) e i Fuori Dal Frigo si sciolsero e presero forma i Tomato Groover. Altra formazione, altro tipo di anni settanta. Un tono chitarristico che Giacomo definiva solo “Con un leggero crunch” tenendosi la mano sulla pancia, in segno di sazietà.
Fu tutto in un lampo che mi trovai allo storico concerto al Bar Azuni.
Con una macchina fotografica in mano.
Un’esperienza ribaltante.
Successivamente le cose si fecero ancora più confuse.
Giacomo partì in Spagna, come molti altri, a cercar fortuna.
I problemi di salute lo fecero tornare.
Il suo disco non è ancora stato registrato e San Sperate e di nuovo intorno a lui, mentre si rifugia in una vecchia casa piena di stanze, invasa dalle sue opere.
Sei li dentro.
Ti stai facendo passare qualche disco in mp3 da uno degli artisti più spettacolari che potresti mai incontrare in mezzo a un lungo rettilineo, diretto a Monastir.
Giacomo è un mago del colore, un chimico della visione, un palombaro della profondità. Ma non sa intelaiare.
Poco da parlare, molto da assorbire.
E questa intervista qui sotto è un pesce.
Un pesce d’aprile.
A.P.: Ciao Giacomo, so che sei molto impegnato, mi concederesti qualche domanda rapida, anche se impertinente?
Giacomo Zucca: Non sono impegnato!
A.P.: Ultimamente abbiamo potuto vedere una tua mostra a San Sperate, una collettiva “Branchi – Insieme di insiemi“, al MEME di Paolo Carta e Giorgio Plaisant. Alcuni tuoi quadri sono addirittura sparsi per le banche di mezza isola.
Cosa ci metti dentro per farli così buoni?
Giacomo Zucca: Tutto quello che i topi non hanno trovato commestibile.
A.P.: Giacomo Zucca, professione: pittore. Queste quattro parole, messe assieme, possono ancora funzionare in un periodo in cui il pane lo trovi a 2 euro al chilo, ma solo all’Hardis di viale Marconi?
Giacomo Zucca: Ti vendo il mio nome per un xifraxiu.
A.P.: So che da qualche tempo sei tornato in Italia, dopo un’esperienza spagnola durata quasi un anno. Con che coraggio l’hai fatto?
Giacomo Zucca: Son più coraggiosi quelli che in Spagna si trattengono, vista la disoccupazione giovanile. Oltretutto non ho trovato niente di interessante a parte qualche persona e i posti suggestivi.
P.S.: Il flamenco ha incrementato la mia orchite perforante!!
A.P.: San Sperate ti ha ospitato. Ti senti figlio del tuo paese? Come si riflette questo aspetto nei tuoi lavori?
Giacomo Zucca: Alla fine l’hanno trovato impiccato per i coglioni nella piazza principale.
A.P.: Ti manca il clima unico e irripetibile dell’Accademia di Belle Arti di Sassari?
Giacomo Zucca: Più chè il clima accademico, mi mancano le grandi personalità che ho avuto modo di conoscere là dentro, e che poi ho sfruttato e fruttato.
Nei bar, circoli, strade, piazze, bar, bettole, xilleri, casa mia e vari bar.
A.P.: Chi ti ispira di più, tra i tuoi ex-colleghi?
Giacomo Zucca: Non la conosci!
A.P.: Ascolti ancora Paolo Conte quando dipingi? Quanto influisce la musica nei tuoi lavori?
Giacomo Zucca: Non ho mai ascoltato un particolare tipo di musica per dipingere: Facebook fa sembrare le cose come non sono!
Lasciamo stare, lasciamo perdere, lasciamo andare…non lo sappiamo dove eravamo in quel mattino da vedere?!?!
A.P.: Parliamo anche della tua carriera come chitarrista solista. Dopo l’esperienza con i Marroni, gli Arcobaleni Marroni, i Filocoitogomitolando, i Fuori Dal Frigo,i Tomato Groover, il Quintetto Parzulli e il cantautorato nella penisola iberica, cosa ci riserbi per il futuro?
Giacomo Zucca: Ho già detto a tuo fratello che conosco il vostro domicilio!
A.P.: E’ vero che Mastella ti ha offerto una discreta somma per “Carnevale cinese“, il tuo masterpiece?
Giacomo Zucca: Anche se è il più “mastello” la gente nn lo compra. Meglio così! Me lo guardo e me lo tengo gelosamente, forse non se lo merita nessuno!
Testo di Alessandro Pilia
Foto di Paola Corrias, Antonio Sini, Giorgio Plaisant
Un sentito ringraziamento a Sergio Pilia.
Info Giacomo Zucca:
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