Venerdì 7 giugno, ore 19.00 presso Sa / gura, Cagliari.
Presentazione della fanzine STREAM OF CONSCIOUSNESS, di Paola Corrias.
Venerdì 7 giugno, ore 19.00 presso Sa / gura, Cagliari.
Presentazione della fanzine STREAM OF CONSCIOUSNESS, di Paola Corrias.
Link al video di STREAM OF CONSCIOUSNESS
La mia prima fanzine fotografica, a cura di Massimiliano Perasso.
Il flusso di coscienza è tradotto in immagini, resta solo qualche sommersa traccia di testo. E’ un flusso di coscienza racchiuso tra le pareti di un mondo intimo, incompleto e simbolico. Ogni immagine è una porta.
Include 24 pagine di fotografie in bianco e nero, analogiche e digitali.
Sono disponibili 100 copie numerate manualmente.
I numeri speciali, dal 30 al 40 e dal 90 al 100, dispongono di una custodia unica che ho realizzato a mano.
Per info contattatemi in DM su Instagram.
Link al video di STREAM OF CONSCIOUSNESS
STREAM OF CONSCIOUSNESS – DETAIL
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE è il titolo del poster-collage installato il 22 ottobre 2018 alla Galleria del Sale di Cagliari, curata da Daniele Gregorini.
Il titolo del poster è un esplicito riferimento al film di Bernardo Bertolucci.
In attesa di una prossima rivoluzione, e due mani che si tendono.
Fotografia di Flirst
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Fotografia di Flirst.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Dettaglio.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Dettaglio.
La rassegna itinerante Cinebarrio porta il cinema nel quartiere Sant’Elia, a Cagliari. Cinebarrio affronta il tema del paesaggio periferico e, quindi, l’abitare la periferia “sia essa umana o geografica”.
Ho suddiviso l’intervento artistico del 12 ottobre in due step.
Il primo ha visto la realizzazione dell’installazione site-specific DONA CURA, pensata a partire dal tema della proiezione del giorno, la lotta per la casa, e dallo spot a me assegnato.
Mi è stato proposto di intervenire su un piccolo edificio abbandonato.
Per me quelle due stanze, scoperchiate e sventrate, possono essere una casa. Basta aggiungere una sedia, un tavolo, un frigorifero. Basta far si che quello spazio diventi un luogo familiare. Ed è subito casa.
Il secondo step è un’attività laboratoriale collettiva. Con le persone presenti abbiamo realizzato in scala il modello architettonico delle due stanze. Questo è stato posizionato all’interno del rudere, tutt’ora a disposizione per ulteriori interventi.
Rassegna a cura di L’Ambulante e Urban Center.
Intervento artistico a cura di Daniele Gregorini.
Documentazione fotografica: Alessandro Pilia, Sara Fadda, che ringrazio particolarmente per l’aiuto nella realizzazione dell’installazione.
Il televisore proietta l’immagine di un parcheggio allagato di Sant’Elia in seguito alle piogge del 10 ottobre 2018.
19 aprile 2018
h 22:28
Santissimi. Un’unica persona. Non I Santissimi, ma Santissimi, come quando si pronuncia un nome proprio. Sara, ad esempio, oppure Antonello.
La Mosca. Un insieme di mosche, sempre nei punti giusti, condensate in quelli nevralgici. L’insieme di mosche è testimone di un messaggio (è la continuità, è il cambiamento). Ha, forse, un’accezione positiva. La Mosca non è un essere fastidioso, ma preannuncia una imminente forza sismica. Se questo non è cambiamento…
La Mosca si posa in forma multipla su un corpo beato che non segue le regole della normale composizione. Siamo nel mezzo di una perfetta simbiosi, è la pace dei sensi di un momento estatico. Pura bellezza
Il Corpo (e i suoi colori), “la propria vera identità”.
Non è deforme. E’ sufficiente far trascorrere una mezza dozzina di secondi per liberarsi dalle regole della normalità.
Non è deforme.
Questo corpo è l’emblema della transumanza. Questo corpo è una pecora che viaggia nel suo e in altri tempi, da una montagna a una vallata fino a un’altra montagna ancora, perché la stagione è di nuovo finita proprio quando un’altra è appena iniziata.
Avvinghiato, solido e saldo su un parallelepipedo bianco l’equilibrio è perfetto.
L’Espressione. Le Orecchie. La cornice del volto. Non posso smettere di guardare il volto, quasi invidio la sensazione di beatitudine che trasuda dal silicone.
Nessun pelo o pelliccia su questa pelle di rivestimento se non la Mosca. Dov’è la pelliccia? L’abbiamo persa nel mutamento, si è impigliata in un incolto cespuglio di rovi durante lo spostamento lungo chilometri.
Alla base le macerie, il positivo del negativo o il negativo del positivo, il sovrappiù necessario per l’esistenza di questa creatura. E’ una questione di equilibri.
Il corpo umano in tutte le impossibili varianti.
OVIS
h 3:33
Paola Corrias
Photo credit SANTISSIMI
Photo credit SANTISSIMI
La luce fioca, l’uscio possibile, il seguito in attesa
Si mostrano le forme di una vicenda originale che, nei punti sensibili, distribuisce somiglianza
Il movimento è quello che a volte si genera ad osservare una deflagrazione
Istante per istante
i canoni si fanno anonimi fino
a rivelare le strutture portanti di un’identità in fuga nel bosco.
La fiaba irrompe e sospende il tempo, per continuare a giocare.
Anche le piccole forme dell’insieme precedente inventagliano storie
l’incubo e la visione ballano l’estasi di esistere
il normogiudizio fa l’uncinetto in cantina.
Il seguito ci sta sempre alle costole. Un altro rotolo di spago in cantina, ora!
Fantasia ne me quitte pas
Composizioni e collages di Paola Corrias
Prima personale a cura di
S’umbra Percorsi Visivi
Cagliari–Castello
Via S. Giuseppe 17
28 febbraio/10 marzo
dal martedì al sabato 18/21
inauguratziò 28 febbraio alle ottodisera
Ciò che resta dopo l’esplosione presto sarà un pugno di falangi.
È il preludio della morte. Inizia il disfacimento organico. Si contrappone alla graduale strutturazione dei ricordi in un unico possente mosaico.
I pezzi del corpo sono tessere prima scarnificate e poi assemblate, maneggiate da chi è sfuggito alla morte.
Amuleti / Reliquie / Amabili Resti.
Spoglie. Povere rimanenze, infime concrezioni di calcio soffocate da pietre preziose, incorniciate da barocchi cumuli di oro e diamanti che manifestano il potere.
Prima o poi si torna allo scenario zero dal quale si ricomincia, come dopo la nascita, a lasciarsi passivamente costruire una nuova identità, spessa come il tempo passato.
I moduli organici di un complesso sistema mobile sono ora chiusi in una teca di vetro penetrata da un raggio zenitale.
Il parallelismo.
Chi è sopravvissuto teme il flusso del tempo e cerca febbrilmente di arrestarlo.
Un feticismo dell’oggetto che era carne, un fanatismo del momento che ora è solo una miscela di fotografie e odori vaporizzati. E il vapore, per sua natura, si dissolve in idrogeno e ossigeno.
Occorre interrompere il ciclo dell’acqua, meglio ancora invertirlo.
Ultimo estremo tentativo di allungare la vita o di non lasciarne svanire la traccia.
Un fare taumaturgico.
Dicotomia sensoriale che lascia trasparire scala di grigi e volumi da uno strato trasparente.
Dicotomia visiva.
La selezione dei fotogrammi migliori di una bobina.
Il primo dente caduto. La donna-icona persa tra estasi e disperazione. La cicatrice sul torace.
Ritorna in mente la donna incoronata, simbolo identificativo carico di simbologie pagane. Il mese di luglio e la dea Flora. Le icone russe e il primitivismo che secca e segna la massa.
Ossa nude a piene mani indossano guanti da motociclista, armate (le mani) fino ai denti (quelli persi) per rincorrere il susseguirsi delle ore, scavalcare il futuro e risvoltarne il flusso come fosse un calzino, o un budello ancora caldo. Il contenitore di una preziosa carne conciata che sarà consumata da stomaci voraci, immagazzinata da occhi spalancati, e ancora consumata come le notti delle folli contorsioni che si spengono solo quando sopraggiunge l’alba.
Fuori, due maiali in amore.
Dentro, l’altare di una chiesa invaso da mani e braccia e piedi accatastati.
Ex voto rigidi stesi in verticale.
Ma questa non è religione. E’ culto libero.
Davide Tronci is on Facebook and Instagram
Words: Paola Corrias
Glocal. Resistenza. Tenacĭtas.
Orde di informazioni che circolano in pieno stato confusionale, una risoluta globalizzazione e la battaglia navale degli input oltreoceano.
Non è una fortezza.
Malleabile, la realtà spesso è alterata e stagna.
Cercare altri mondi, ma stavolta esistenti, nascosti all’ombra delle pietre. Un altro Marocco, ad esempio.
Il Marocco di un piccolo villaggio sconosciuto di una provincia poco nota, che si perde come una molecola di soluto nel solvente. La sua presenza, benché minimale, caratterizza la soluzione.
Un piccolo villaggio.
Meryam El Bouhati l’ha esplorato con perseveranza. Si è recata per tre anni nella moschea marabout che conserva le spoglie di Moulay Driss Primo.
All’interno della moschea, dice Meryam, “le persone hanno sempre l’aria di farsi carico di tutti i peccati del mondo”.
Ma è arduo vederne i visi. Gli sguardi sono bassi e le mani sembrano voler raccogliere un’acqua inesistente. Ogni giorno la stessa scena. Poche varianti spalmate su infiniti giorni.
Dov’è Dio se non qui? Se non tra i cappotti consunti, a righe, che da secoli vestono marocchini di origini amazigh. Se non tra le mattonelle artigianali che si uniscono l’una all’altra, in qualsiasi direzione, senza soluzione di continuità. Se non in quegli intonaci bianchi che contrastano pesantemente con i luoghi bui in cui l’eco si espande senza risparmiarsi.
Tra le pieghe dei visi? E’ qui l’acqua che cercavi, è qui Dio.
Davvero, non resta che srotolare e stendersi sul tappeto di fitta ignoranza che ci si porta dietro dalla nascita. Poggiare la fronte sudata su di esso, immaginare gli odori degli endroits più umidi e inventare fantasiosamente una gratuita protezione divina. Un’altra velocità del succedersi delle cose.
I riti che si ripetono. Evapora il bisbiglio delle persone. L’aria è densa. Dentro.
Fuori. La donna anziana insegna qualcosa di prezioso alla bambina e le due figure fanno parte di tutto il resto. Figure + contesto. Figure = contesto.
Come il ciclo dell’acqua. Uomo / territorio / Dio / territorio / Uomo.
Tutto il resto non ha valore. Neanche la distinzione tra vita e morte.
I colori non hanno valore. I vestiti e le scarpe nemmeno.
Le superfetazioni ritornano, inutili, come sempre.
Lo sguardo monocromatico di Meryam è consapevole, per questo ha deciso di testimoniare l’arcaico ed aeternus che si cela tra le spesse mura di una moschea fuori dalle orbite turistiche.
Testo a cura di Paola Corrias
©Fotografie di Meryam El Bouhati
• 17 • SteelRosesMC • Year: 2017 • Book Edition Massimiliano Perasso
“S” is the seventeenth letter of the alphabet. Steel Roses. Bikers. Society in society. Another time in this time. They dart with their bikes, they dig a groove in the fields, they plow the ground. I follow them, I get lost with them in the streets crossing borders, in open-air camps, among the chapters soaked in alcohol. The flowing of the days has a different value, short breaths at high speed. The night is very short. There is no time for useless thoughts. Everything is very practical. I am a passenger. With the flowing of the days, I’m more and more comfortable on the bike. Among heavy metals, rules, hierarchies, I identify the positive side of the coin: an unusual sense of protection. Ten days of delirium in which I go out of my routine to get into their everyday life. Ten days of flashbacks, projected back almost seventy years, to 1948. And the return to reality, my reality, is traumatic. But that is another matter • words: Paola Corrias •
Info: Massimiliano Perasso
• 17 • SteelRosesMC • Year: 2017 •
La S è la diciassettesima lettera dell’alfabeto. Steel Roses. Bikers. Società nella società. Un altro tempo in questo tempo. Sfrecciano veloci con le loro moto, tagliano a metà i campi, solcano il terreno. Li seguo, mi perdo con loro tra le strade attraversando le frontiere, negli accampamenti a cielo aperto, tra i chapters intrisi d’alcool. Lo scorrere delle giornate ha una valenza diversa, respiri corti ad alta velocità. La notte è molto breve. Non c’è tempo per pensieri inutili. E’ tutto molto pratico. Sono un passeggero. Al trascorrere dei giorni sto sempre più comodo su quella moto. Tra metalli pesanti, regole, gerarchie individuo la faccia positiva della medaglia: un insolito senso di protezione. Dieci giorni di delirio in cui esco dalla mia routine per entrare nella loro quotidianità. Dieci giorni di flashback, proiettato indietro di quasi settanta anni, al 1948. E il ritorno alla realtà, la mia realtà, è traumatico. Ma questa è un’altra faccenda. • words: Paola Corrias •