AETERNUS | Progetto fotografico di Meryam El Bouhati

Glocal. Resistenza. Tenacĭtas.

Orde di informazioni che circolano in pieno stato confusionale, una risoluta globalizzazione e la battaglia navale degli input oltreoceano.

Non è una fortezza.

Malleabile, la realtà spesso è alterata e stagna.

1.jpg

Cercare altri mondi, ma stavolta esistenti, nascosti all’ombra delle pietre. Un altro Marocco, ad esempio.

Il Marocco di un piccolo villaggio sconosciuto di una provincia poco nota, che si perde come una molecola di soluto nel solvente. La sua presenza, benché minimale, caratterizza la soluzione.

Un piccolo villaggio.

Meryam El Bouhati l’ha esplorato con perseveranza. Si è recata per tre anni nella moschea marabout che conserva le spoglie di Moulay Driss Primo.

All’interno della moschea, dice Meryam, “le persone hanno sempre l’aria di farsi carico di tutti i peccati del mondo”.

28.jpg

Ma è arduo vederne i visi. Gli sguardi sono bassi e le mani sembrano voler raccogliere un’acqua inesistente. Ogni giorno la stessa scena. Poche varianti spalmate su infiniti giorni.

3.jpg

Dov’è Dio se non qui? Se non tra i cappotti consunti, a righe, che da secoli vestono marocchini di origini amazigh. Se non tra le mattonelle artigianali che si uniscono l’una all’altra, in qualsiasi direzione, senza soluzione di continuità. Se non in quegli intonaci bianchi che contrastano pesantemente con i luoghi bui in cui l’eco si espande senza risparmiarsi.

Tra le pieghe dei visi? E’ qui l’acqua che cercavi, è qui Dio.

9.jpg

Davvero, non resta che srotolare e stendersi sul tappeto di fitta ignoranza che ci si porta dietro dalla nascita. Poggiare la fronte sudata su di esso, immaginare gli odori degli endroits più umidi e inventare fantasiosamente una gratuita protezione divina. Un’altra velocità del succedersi delle cose.

18

I riti che si ripetono. Evapora il bisbiglio delle persone. L’aria è densa. Dentro.

Fuori. La donna anziana insegna qualcosa di prezioso alla bambina e le due figure fanno parte di tutto il resto. Figure + contesto. Figure = contesto.

Come il ciclo dell’acqua. Uomo / territorio / Dio / territorio / Uomo.

Tutto il resto non ha valore. Neanche la distinzione tra vita e morte.

I colori non hanno valore. I vestiti e le scarpe nemmeno.

Le superfetazioni ritornano, inutili, come sempre.

24.jpg

Lo sguardo monocromatico di Meryam è consapevole, per questo ha deciso di testimoniare l’arcaico ed aeternus che si cela tra le spesse mura di una moschea fuori dalle orbite turistiche.

Testo a cura di Paola Corrias

©Fotografie di Meryam El Bouhati

Contatti:   Instagram  |  Web site  |  Facebook

FIGHT di Gabriele Lopez

1 Fight Gabriele Lopez

Fight | progetto fotografico di Gabriele Lopez

Un occhio su tre ordini.

love & blah blah blah.

I volti trascinati verso il basso si confondono mescolati nell’emulsione e l’immagine è frantumata tra gli alogenuri d’argento.

Dozzine, centinaia di chilometri quadrati di metropoli compressi in una pellicola alta 35 mm.

La gente accalcata. Le scale, il treno, le stampe sui muri scollate con un severo gesto di rabbia. La frustrazione. I miss yo(u).

7 Fight Gabriele Lopez.jpg

Ma il vinile è il rifugio prima di arrivare al capolinea. Le spazzole frullano sui piatti e la frequenza cardiaca si allinea. Il respiro rallenta. Il sigaro, Chet Baker e il 1983.

Poi.

La proiezione al giorno dopo. Ricomincia tutto da capo. Il periodo di rotazione detta legge.

S.O.S.

Sui palazzi i cartelloni distraggono. Il cervello va alla velocità di una turbina idraulica, i pensieri corrono e si confondono.

Occhi occhi occhi. L’amore reiterato in una scritta ossessiva. Love love love. Convince noi povere bestiole a comprare anche l’amore. Di nuovo occhi.

2 Fight Gabriele Lopez

Le luci al neon, l’incubo, l’ossessione.

Accumulare di giorno per spurgare la notte nelle celle anonime che la sera si illuminano secondo combinazioni casuali. Le camere di depressione. Le sagome sono statiche: la notte nelle caselle e il giorno nelle vetrine. Il cervello è sotto pressione.

Poi torna la sera.

Una boccata d’aria, l’albero dilaniato e solitario in fase di assestamento, il mare scuro contiene il disadattamento sociale (breve ritorno all’ordine).

4 Fight Gabriele Lopez 

La scarpa in pelle della donna bionda senza volto riposa sull’asfalto.

Si ricomincia.

I clacson, il vociare, lo smog pesante, alza il culo! Gli abiti irrigiditi sono divise vuote, uomini senza volto. Fiumane di robot come formiche si muovono frenetiche in uno spazio in cui il tempo è compresso. O compromesso.

Fight.

Fight it! The city, the citizens, the time. 

Where is the time line? 

Sopravvivenza. Resistenza. Evitare il cortocircuito.

Continua a lottare.

5 Fight Gabriele Lopez

6 Fight Gabriele Lopez

Contatti: sito web Gabriele Lopez

Facebook Gabriele Lopez Photography

 

Testo a cura di Paola Corrias per brolegs.com

Grazie a Gabriele Lopez per questa esperienza.

3 Fight Gabriele Lopez

 

 

Sea Dreams, un progetto fotografico di Moad Mzaoeg – di Paola Corrias

pubblicato su Industriarchitettura

09

Moad Mzaoeg  cattura le immagini oltre il Mare Mediterraneo occidentale, in un Marocco sconosciuto. Rompe gli schemi. Disintegra i preconcetti. Tangeri è urbana, metropolitana, con il caos che domina gli spazi. Tra i tavolini dei caffè e il pubblico di un concerto in acustico si muovono i ragazzi dell’altra Tangeri. La colla nei polmoni, la disillusione negli occhi. La storia arcaica dell’architettura è la matrice. Gli spazi si fanno luoghi. Le immagini sono vertigini concretizzate visivamente. Non si può arrivare all’essenza della scena fotografata, il concetto è sempre più profondo del fondo, finché il concetto si fa sfondo su cui si scompongono e ricompongono i momenti fugaci di Tangeri.

08

Sono scene che, private del tempo, diventano eterne. Moad “prendra des photos”, indecise tra perdizione e salvezza. Thé marocchino e sigarette L&M. Una canzone intitolata “Rita”. La melodia italiana di Rino Gaetano. Nel progetto SEA DREAMS Moad reinterpreta il cuore del Marocco. Una fonte di conoscenza necessaria. La calce bianca sulle facciate delle case che si arrampicano nel tentativo di catturare il sole, le strade strette, le insegne artigianali.

Gli scatti di Moad, diagonalmente, catturano il contesto, ma è solo uno sfondo distratto. Non esiste un solo Marocco, ma ne esistono tanti, almeno quante le chiavi di lettura scelte. Dal basso, col viso schiacciato alla terra più umile, lo sguardo intercetta un bambino dalle dita grosse. Sembra abbia solo dieci anni, ma in realtà ne ha diciassette. Una  felpa con cappuccio, i capelli appena tagliati. Stringe in mano un palloncino trasparente. Non è un gioco. È un palliativo. La vita è crudele. Inalare è l’unica soluzione alla sua portata. Poco oltre, due ragazze vestite di nero camminano tenendosi per mano. Vogliono distrarci dai pochi denti neri rimasti nella bocca di un giovane. Sono denti che sgranano parole, a ritmo di chicchi di melagrana.

c__data_users_defapps_appdata_internetexplorer_temp_saved-images_15051965_819880021486343_834340937_o

Poi, tra gli ambienti più introversi, c’è una stanza buia e da tre punti distinti della nuda parete in mattoni crudi entra la luce del sole che abbaglia e interferisce con la vista. Seduto sull’uscio si intravede un uomo che, a testa china e con la schiena inarcata, maneggia qualcosa che pare rara e preziosa. Sul pavimento si spalmano manciate di rifiuti. Il sogno si fa metafora.

Tangeri è il limes che separa la truce realtà dall’idealizzato sogno europeo. Così, la grande area portuale si trasforma in un limbo, in un’area commista di attesa e sospensione del tempo.

Per molti ragazzi la vita di strada è una scelta, perché talvolta mitizzata, talvolta un’alternativa migliore alle condizioni di vita familiari, talvolta invece è conseguenza necessaria dell’attesa per l’approdo in Europa.

I ragazzi dal porto guardano il mare, ognuno con la propria busta di plastica.

02

Presenziare al porto è la linfa vitale e, nell’intramezzo tra attesa e agognata partenza, il tempo sospeso è scandito dalla continua lotta tra sopravvivenza e degrado radicale. L’obiettivo principale si sdoppia. È l’aberrazione dell’occhio accompagnata da “Asfour“ di Marcel Khalife e Omaima Khalil.

Sulle barche che ondeggiano nel molo si proiettano costantemente le ombre. Sul legno delle imbarcazioni segnano l’alternanza delle stagioni.

Un’ombra in particolare indica la scritta ahlam al bahr (rêves de la mer). Bianca, così da essere leggibile a distanza. Densa di significati, così da essere divorata da occhi spenti. Lo sguardo sfida l’orizzonte e i pensieri si decontestualizzano.

È il bateau numero 11-309, è la Tangeri di Moad Mzaoeg.

Di Paola Corrias

05

03

01

SEA DREAMS | Moad Mzaoeg

 |Article publié sur Carnet d’Art (France)|

à lire: Carnet d’Art

 

09.jpg

Moad Mzaoeg capture les images au-delà de la Mer Méditerranée, dans un Maroc inconnu.
Il brise la routine, désintègre les préjugés.
Tanger est urbaine, le chaos domine les espaces.

Parmi les tables à cafés et le public d’un concert acoustique, les gamins de l’autre Tanger déambulent. La colle dans les poumons, la désillusion dans les yeux. L’histoire archaïque de l’architecture est la matrice. Les espaces deviennent lieux. Les images sont comme des vertiges qui se matérialisent visuellement. On ne peut pas arriver à l’essence de la scène photographiée. Ces scènes sont atemporelles, elles deviennent éternelles, privées d’espace, elles deviennent une photographie. Ce soir aussi Moad prendra des photos, indécises entre perdition et sauvetage : thé marocain et cigarettes L&M, la chanson « Rita » de Marcel Khalife, la mélodie italienne de Rino Gaetano.

08

Dans le projet Sea Dreams, Moad réinterprète le cœur du Maroc : une base de connaissances nécessaire. La chaux blanche sur les façades des maisons semble en escalade dans le but de capturer le soleil, les rues étroites, les enseignes artisanales. Les photos de Moad Mzaoeg capturent le contexte mais c’est seulement un fond distrait. Avec le visage écrasé par la terre la plus modeste, le regard intercepte un gamin avec de gros doigts. On dirait qu’il a quatre ans, mais il en a dix-neuf. Il tient dans la poignée un sac en plastique transparent. Ce n’est pas un jeu. C’est un palliatif. Inhaler est la seule solution à sa portée.

03

Un peu plus loin, deux filles habillées en noir marchent main dans la main. Elles détournent l’attention d’un jeune homme aux dents noires, au bord de l’image. Ce sont des dents qui écossent les mots, au rythme des graines de grenade. Ensuite, parmi les milieux les plus introvertis, il y a une pièce obscure et trois différents points d’un mur de briques. La lumière du soleil éblouit et interfère avec la vue. Il y a un homme qui, avec la tête baissée et le dos voûté, manipule quelque chose qui semble rare, sur le sol des déchets.

c__data_users_defapps_appdata_internetexplorer_temp_saved-images_15051965_819880021486343_834340937_o

Tanger est la limite, la frontière qui sépare la triste réalité du rêve idéalisé, le rêve européen. Ainsi, la grande zone du port, se transforme en limbe où l’attente et la suspension du temps se mélangent. Les gamins du port font face à la mer, avec des sacs en plastique. Ici le temps compte double, suspendu et marqué par la lutte continue entre la survie et la dégradation plus radicale. L’objectif principal est divisé. Aberration de l’œil accompagné par Asfour Marcel Khalifé et Omaima Khalil. Sur les bateaux, dans la jetée, se projettent des ombres qui marquent la rotation de la Terre et qui deviennent le bois des bateaux. Une ombre souligne l’impression « ahlam bahr » (rêves de la mer), blanche de manière à être visible à distance, et riche en sens de manière à être admirée. Le regard défie l’horizon et les pensées décontextualisent.

Voici la Tanger de Moad Mzaoeg.

 

050201

MAXIME VERELST

Stato

MAXIME VERELST

4

Un Igorrr delirante in sottofondo, la neve alta oltre la finestra, i freddi resti di una carbonade flamade attenuano il dolore di Max. Ha trascorso tutta la notte in strada a catturare visi solcati e tranci di vita.

Art Ch’ti Texture. Gioco tra le parole arte/Ch’ti/architettura/texture.

Il progetto inizia nel 2012, nelle corons del nord della Francia. L’uomo e la periferia, in continui attacchi frontali e una manciata di confronti biunivoci.

L’ombra di ogni giorno che passa è proiettata e immortalata sui mattoni in cotto del quartiere operaio dei carbonai.

La texture è la ripetizione delle case, o la ripetizione del mattone, o ancora la serializzazione degli abitanti. Numeri. O anime.

Come bambole antiche o vecchi motorini nei garages abbandonati, immobili attendono di rianimarsi.

Il fotografo si amalgama con la gente, la sua gente, e restituisce a ogni numero la propria identità.

Il risultato: un prezioso distillato in bianco e nero estratto dal ghetto, da Maxime Verelst.

Pagina Facebook: Art ch’ti texture

Un Igorrr délirant en fond, la neige haute hors de la fênetre, les froids restes d’une carbonade flamade atténuent la douleur de Max. Il a passé la nuit dans la rue, à capturer visages sillonnés et tranches de vie.
Art Ch’ti Texture.
Jeu entre les mots art/Ch’ti/architecture/texture.
Le projet nait en 2012, dans les corons du nord de la France.
L’homme et la banlieue, en continus attaques de front et une poignée de comparaisons biunivoques.
Chaque jour est fixé sur les briques pleins cuites du quartier ouvrier des charbonniers.
La texture est la répétition des maisons, ou la répétition du brique, ou bien la sérialisation des habitants. Nombres. Ou âmes. Comme poupés vieuilles, comme des mobylettes dépoussiérés dans les garages abandonnés.
Le photographe fusionne avec la population, sa population, et redonne à chacun son identité.
Le résultat: un précieux distillat en blanche et noir extrait du Ghetto, par Maxime Verelst.

à lire: Maxime Verelst | Carnet d’Art