Venerdì 7 giugno, ore 19.00 presso Sa / gura, Cagliari.
Presentazione della fanzine STREAM OF CONSCIOUSNESS, di Paola Corrias.
Venerdì 7 giugno, ore 19.00 presso Sa / gura, Cagliari.
Presentazione della fanzine STREAM OF CONSCIOUSNESS, di Paola Corrias.
Link al video di STREAM OF CONSCIOUSNESS
La mia prima fanzine fotografica, a cura di Massimiliano Perasso.
Il flusso di coscienza è tradotto in immagini, resta solo qualche sommersa traccia di testo. E’ un flusso di coscienza racchiuso tra le pareti di un mondo intimo, incompleto e simbolico. Ogni immagine è una porta.
Include 24 pagine di fotografie in bianco e nero, analogiche e digitali.
Sono disponibili 100 copie numerate manualmente.
I numeri speciali, dal 30 al 40 e dal 90 al 100, dispongono di una custodia unica che ho realizzato a mano.
Per info contattatemi in DM su Instagram.
Link al video di STREAM OF CONSCIOUSNESS
STREAM OF CONSCIOUSNESS – DETAIL
Mostra fotografica di Marcello Nocera a cura di Paola Corrias presso Spazio Raw di Milano.
Dal 15 al 30 novembre.
Il 31 ottobre 2017 ricorreva il diciassettesimo compleanno della Santa Muerte.
La Niña Blanca, figura sacra non riconosciuta dalla Chiesa cattolica, è fortemente venerata in Messico, specialmente a Tepito, el barrio bravo della capitale.
Marcello Nocera ha intrapreso un lungo viaggio mosso dalla volontà di imprimere su carta le parole e le immagini che aveva assorbito sulla Santa e i riti del dìa de los muertos. Ma, inaspettatamente, il primo impatto segna il corso dei giorni seguenti. Detta i segni di un linguaggio che sarà poi inciso.
L’impatto con l’altra realtà, altra da quella mediatica, è duro.
Tutto ha inizio da un incontro avvenuto in un tempio. L’incenso profumato, il rito antico e la vecchia donna catalizzano nuove associazioni di pensiero.
Cambia la prospettiva.
Il reportage si carica di ansie e impressioni personali profonde che trasudano da un intimo dialogo. Vibra il terreno, carico del poderoso e risoluto movimento delle masse.
Parte una ricerca di sguardi: quello personale di Marcello si proietta sullo sguardo delle altre centinaia di persone, e così, nel riflesso, vede se stesso.
Centinaia di volti dipinti a festa. Volti viventi come morti e morti che ritornano vivi, attraverso la messa in scena del ciclo della vita. Su ogni faccia la proiezione di un futuro certo, accolto con estrema consapevolezza e festeggiato dalle prime ore della sera fino al mattino seguente.
Un inesorabile intreccio di cui Marcello è l’artefice.
Durante el dìa de los muertos l’eterotopia si dilata, si espande. La città dei morti non è più circoscritta alle aree cimiteriali, ma investe tutto il tessuto urbano, capillarmente, sino ad entrare nelle abitazioni e nei luoghi più intimi.
La vita e la morte si incontrano.
E i volti, monocromatici, si confondono, si mescolano, si oscurano, si colorano, si moltiplicano in altari dedicati alla Niña.
Mentre prosegue il gioco di sguardi, che tessono trame di legami familiari indissolubili, Marcello rende indelebili le emozioni e quei visi che presto scompariranno.
Per esorcizzare la paura della morte.
Per festeggiare la vita.
A cura di Paola Corrias
REQUIEM
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE è il titolo del poster-collage installato il 22 ottobre 2018 alla Galleria del Sale di Cagliari, curata da Daniele Gregorini.
Il titolo del poster è un esplicito riferimento al film di Bernardo Bertolucci.
In attesa di una prossima rivoluzione, e due mani che si tendono.
Fotografia di Flirst
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Fotografia di Flirst.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Dettaglio.
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE di Paola Corrias. Dettaglio.
La luce fioca, l’uscio possibile, il seguito in attesa
Si mostrano le forme di una vicenda originale che, nei punti sensibili, distribuisce somiglianza
Il movimento è quello che a volte si genera ad osservare una deflagrazione
Istante per istante
i canoni si fanno anonimi fino
a rivelare le strutture portanti di un’identità in fuga nel bosco.
La fiaba irrompe e sospende il tempo, per continuare a giocare.
Anche le piccole forme dell’insieme precedente inventagliano storie
l’incubo e la visione ballano l’estasi di esistere
il normogiudizio fa l’uncinetto in cantina.
Il seguito ci sta sempre alle costole. Un altro rotolo di spago in cantina, ora!
Fantasia ne me quitte pas
Composizioni e collages di Paola Corrias
Prima personale a cura di
S’umbra Percorsi Visivi
Cagliari–Castello
Via S. Giuseppe 17
28 febbraio/10 marzo
dal martedì al sabato 18/21
inauguratziò 28 febbraio alle ottodisera
Ciò che resta dopo l’esplosione presto sarà un pugno di falangi.
È il preludio della morte. Inizia il disfacimento organico. Si contrappone alla graduale strutturazione dei ricordi in un unico possente mosaico.
I pezzi del corpo sono tessere prima scarnificate e poi assemblate, maneggiate da chi è sfuggito alla morte.
Amuleti / Reliquie / Amabili Resti.
Spoglie. Povere rimanenze, infime concrezioni di calcio soffocate da pietre preziose, incorniciate da barocchi cumuli di oro e diamanti che manifestano il potere.
Prima o poi si torna allo scenario zero dal quale si ricomincia, come dopo la nascita, a lasciarsi passivamente costruire una nuova identità, spessa come il tempo passato.
I moduli organici di un complesso sistema mobile sono ora chiusi in una teca di vetro penetrata da un raggio zenitale.
Il parallelismo.
Chi è sopravvissuto teme il flusso del tempo e cerca febbrilmente di arrestarlo.
Un feticismo dell’oggetto che era carne, un fanatismo del momento che ora è solo una miscela di fotografie e odori vaporizzati. E il vapore, per sua natura, si dissolve in idrogeno e ossigeno.
Occorre interrompere il ciclo dell’acqua, meglio ancora invertirlo.
Ultimo estremo tentativo di allungare la vita o di non lasciarne svanire la traccia.
Un fare taumaturgico.
Dicotomia sensoriale che lascia trasparire scala di grigi e volumi da uno strato trasparente.
Dicotomia visiva.
La selezione dei fotogrammi migliori di una bobina.
Il primo dente caduto. La donna-icona persa tra estasi e disperazione. La cicatrice sul torace.
Ritorna in mente la donna incoronata, simbolo identificativo carico di simbologie pagane. Il mese di luglio e la dea Flora. Le icone russe e il primitivismo che secca e segna la massa.
Ossa nude a piene mani indossano guanti da motociclista, armate (le mani) fino ai denti (quelli persi) per rincorrere il susseguirsi delle ore, scavalcare il futuro e risvoltarne il flusso come fosse un calzino, o un budello ancora caldo. Il contenitore di una preziosa carne conciata che sarà consumata da stomaci voraci, immagazzinata da occhi spalancati, e ancora consumata come le notti delle folli contorsioni che si spengono solo quando sopraggiunge l’alba.
Fuori, due maiali in amore.
Dentro, l’altare di una chiesa invaso da mani e braccia e piedi accatastati.
Ex voto rigidi stesi in verticale.
Ma questa non è religione. E’ culto libero.
Davide Tronci is on Facebook and Instagram
Words: Paola Corrias
Glocal. Resistenza. Tenacĭtas.
Orde di informazioni che circolano in pieno stato confusionale, una risoluta globalizzazione e la battaglia navale degli input oltreoceano.
Non è una fortezza.
Malleabile, la realtà spesso è alterata e stagna.
Cercare altri mondi, ma stavolta esistenti, nascosti all’ombra delle pietre. Un altro Marocco, ad esempio.
Il Marocco di un piccolo villaggio sconosciuto di una provincia poco nota, che si perde come una molecola di soluto nel solvente. La sua presenza, benché minimale, caratterizza la soluzione.
Un piccolo villaggio.
Meryam El Bouhati l’ha esplorato con perseveranza. Si è recata per tre anni nella moschea marabout che conserva le spoglie di Moulay Driss Primo.
All’interno della moschea, dice Meryam, “le persone hanno sempre l’aria di farsi carico di tutti i peccati del mondo”.
Ma è arduo vederne i visi. Gli sguardi sono bassi e le mani sembrano voler raccogliere un’acqua inesistente. Ogni giorno la stessa scena. Poche varianti spalmate su infiniti giorni.
Dov’è Dio se non qui? Se non tra i cappotti consunti, a righe, che da secoli vestono marocchini di origini amazigh. Se non tra le mattonelle artigianali che si uniscono l’una all’altra, in qualsiasi direzione, senza soluzione di continuità. Se non in quegli intonaci bianchi che contrastano pesantemente con i luoghi bui in cui l’eco si espande senza risparmiarsi.
Tra le pieghe dei visi? E’ qui l’acqua che cercavi, è qui Dio.
Davvero, non resta che srotolare e stendersi sul tappeto di fitta ignoranza che ci si porta dietro dalla nascita. Poggiare la fronte sudata su di esso, immaginare gli odori degli endroits più umidi e inventare fantasiosamente una gratuita protezione divina. Un’altra velocità del succedersi delle cose.
I riti che si ripetono. Evapora il bisbiglio delle persone. L’aria è densa. Dentro.
Fuori. La donna anziana insegna qualcosa di prezioso alla bambina e le due figure fanno parte di tutto il resto. Figure + contesto. Figure = contesto.
Come il ciclo dell’acqua. Uomo / territorio / Dio / territorio / Uomo.
Tutto il resto non ha valore. Neanche la distinzione tra vita e morte.
I colori non hanno valore. I vestiti e le scarpe nemmeno.
Le superfetazioni ritornano, inutili, come sempre.
Lo sguardo monocromatico di Meryam è consapevole, per questo ha deciso di testimoniare l’arcaico ed aeternus che si cela tra le spesse mura di una moschea fuori dalle orbite turistiche.
Testo a cura di Paola Corrias
©Fotografie di Meryam El Bouhati
Un occhio su tre ordini.
love & blah blah blah.
I volti trascinati verso il basso si confondono mescolati nell’emulsione e l’immagine è frantumata tra gli alogenuri d’argento.
Dozzine, centinaia di chilometri quadrati di metropoli compressi in una pellicola alta 35 mm.
La gente accalcata. Le scale, il treno, le stampe sui muri scollate con un severo gesto di rabbia. La frustrazione. I miss yo(u).
Ma il vinile è il rifugio prima di arrivare al capolinea. Le spazzole frullano sui piatti e la frequenza cardiaca si allinea. Il respiro rallenta. Il sigaro, Chet Baker e il 1983.
Poi.
La proiezione al giorno dopo. Ricomincia tutto da capo. Il periodo di rotazione detta legge.
S.O.S.
Sui palazzi i cartelloni distraggono. Il cervello va alla velocità di una turbina idraulica, i pensieri corrono e si confondono.
Occhi occhi occhi. L’amore reiterato in una scritta ossessiva. Love love love. Convince noi povere bestiole a comprare anche l’amore. Di nuovo occhi.
Le luci al neon, l’incubo, l’ossessione.
Accumulare di giorno per spurgare la notte nelle celle anonime che la sera si illuminano secondo combinazioni casuali. Le camere di depressione. Le sagome sono statiche: la notte nelle caselle e il giorno nelle vetrine. Il cervello è sotto pressione.
Poi torna la sera.
Una boccata d’aria, l’albero dilaniato e solitario in fase di assestamento, il mare scuro contiene il disadattamento sociale (breve ritorno all’ordine).
La scarpa in pelle della donna bionda senza volto riposa sull’asfalto.
Si ricomincia.
I clacson, il vociare, lo smog pesante, alza il culo! Gli abiti irrigiditi sono divise vuote, uomini senza volto. Fiumane di robot come formiche si muovono frenetiche in uno spazio in cui il tempo è compresso. O compromesso.
Fight.
Fight it! The city, the citizens, the time.
Where is the time line?
Sopravvivenza. Resistenza. Evitare il cortocircuito.
Continua a lottare.
Contatti: sito web Gabriele Lopez
Facebook Gabriele Lopez Photography
Testo a cura di Paola Corrias per brolegs.com
Grazie a Gabriele Lopez per questa esperienza.